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Gli Oscar dell'animazione

di Oriana Picceni

Che cosa hanno in comune i due film che la scorsa notte hanno vinto gli Oscar per l'Animazione?

La poesia. Sì, perché Inside Out (miglior film d'animazione) e Bear Story (miglior cortometraggio d'animazione) sembrano fatti per arrivare diritti al cuore, toccando prima di tutto le corde della malinconia e del ricordo (soprattutto quando a guardarli è un adulto). E, soprattutto, sembrano fatti per essere guardati insieme (grandi e bambini, genitori e figli), perché mettono al centro il rapporto tra generazioni, la famiglia, le proprie radici e la crescita. Insomma, anche attraverso i canali della fantasia e dell'animazione, entrambe i vincitori partono da vicende profondamente aderenti alla realtà.

 

In Inside Out, fortunatissima pellicola Disney-Pixar firmata da Pete Docter, la trama viaggia su due binari paralleli: da una parte c'è la vicenda di Riley, ragazzina undicenne che deve lasciare la sua casa nel Minnesota per trasferirsi a San Francisco a causa del nuovo lavoro del padre, dall'altra c'è la storia delle sue emozioni (cinque bizzarri personaggi che abitano nella sua testa e hanno il compito di guidarla attraverso le turbolenze della preadolescenza). La cosa geniale di questo film non risiede solo nel fatto di aver costruito la storia intorno a personaggi che ne fanno un vero e proprio inno alle emozioni, ma piuttosto nei suoi diversi piani di lettura e comprensione: ai più piccoli si parla di rabbia, gioia, tristezza, disgusto, paura e di come l'equilibrio tra i diversi elementi della nostra emotività sia messo a dura prova dalla crescita; ai genitori si ricorda che quando l'infanzia dei figli finisce, si prova una sensazione dolce e amara allo stesso tempo. Spaesante quanto i primi tentennamenti dell'adolescenza. Proprio come ha sottolineato il regista, quando ha raccontato di essersi ispirato alla figlia undicenne.

Bear Story, il corto che ha fatto guadagnare il primo Oscar al Cile, è la delicatissima storia di un orso malinconico che costruisce un diorama attraverso cui  cerca di ricordare (e forse recuperare) la vita con la sua famiglia, prima di essere rapito e portato in un circo. Ma anche in questo caso la vicenda è ispirata a una storia vera e il regista Gabriel Osorio racconta di come la figura del nonno, esiliato in Inghilterra durante il regime militare di Pinochet, fosse stato per lui una presenza-assenza costante, abitando sogni e paure della sua infanzia. E anche in questo caso un racconto che incrocia diverse generazioni, lasciando a ogni spettatore emozioni diverse.